Il progetto turistico di Caposele e la spesa pubblica

pubblicato su io ho un sogno Blog

Gli investimenti pubblici per lo sviluppo turistico di una località sono sempre necessari e la crescita turistica passa necessariamente da essi. Soprattutto in fase di start-up di un nuovo progetto, l’intervento del pubblico è fondamentale.
Allo stesso tempo però è necessario valutare anche l’entità di questi investimenti e la qualità degli stessi. Questo perché quando si usano soldi pubblici in iniziative di questo tipo la ricaduta in termini di economia e occupazione per la comunità nella quale si opera devono essere visibili e tangibili. Altrimenti gli investimenti fatti restano intangibili, visto che parliamo sopratutto di servizi. Se poi questi investimenti sono ingenti e svolti in un arco di tempo molto breve, la questione diventa ancora più importante. Allora è chiaro che una valutazione costi benefici degli stessi e un’attenta analisi delle modalità con le quali questi investimenti sono stati fatti si rende necessaria e delle osservazioni vanno fatte.
Quanto sta avvenendo nel Comune di Caposele nell’ambito delle politiche di sviluppo turistico è un esempio. Nell’ultimo anno una serie di interventi, di spese e di iniziative dell’Amministrazione Comunale hanno visto una importante sterzata in termini di attività in questo settore. I primi costi sostenuti si sono avuti per l’esproprio dei terreni relativi alla realizzazione del parco “Oasi della

Madonnina”, oggi purtroppo abbandonato e non inserito tra le risorse da visitare, e nemmeno sembra vi sia un progetto in futuro per questo. Poi gli investimenti per l’allestimento del Museo di Leonardo che è costato alla Comunità circa 15mila euro, scelta ineccepibile.

Successivamente le azioni hanno visto la formazione di operatori del settore coinvolgendo molti giovani del Comune nel corso di Guida Turistica Locale a costo zero, visto che sono stati coinvolti a titolo gratuito vari professionisti del settore che non hanno percepito compensi (compreso il sottoscritto). Il corso ha scatenato numerose, giuste polemiche tra le guide professionali munite di tesserino che hanno sostenuto un difficile esame abilitativo alla Regione Campania. I ragazzi infatti, esercitavano ed esercitano la professione, seppur volontariamente, in maniera abusiva, avallati dall’istituzione.
In seguito investimenti importanti si sono visti per cartellonistica, materiale promozionale, attività sul web e per l’affitto di una navetta turistica per quattro giorni nel mese di ottobre, al fine di trasportare turisti da Materdomini, il centro turistico importante del Comune, a Caposele, sede di varie, nuove attrattive. Le spese sostenute sono state pari a 2664 euro per il materiale promozionale e 2530 euro per la navetta per quattro giorni di prova. Un’iniziativa lodevole e sperimentale a totale carico del pubblico ma che prevedeva anche il pagamento di un biglietto pari a 3 euro. E già qui sorgono i primi dubbi: chi ha intascato questi soldi visto che non sono serviti per pagare la navetta?

Il problema quindi non è la bontà delle iniziative, anche perché il sol fatto di averle avviate è elemento di vanto, ma le dubbie modalità con le quali tali attività vengono svolte e la qualità delle azioni avviate rapportate ai costi, che forse potevano essere migliori.
L’impressione è che alla base non ci sia un’idea e un progetto di quello che si vuole fare in futuro, ma semplicemente un insieme disordinato di iniziative che non hanno un unico obiettivo, che se c’è comunque non è chiaro. Gli investimenti in campo turistico, invece, vanno fatti con una seria, logica e programmata idea di sviluppo alla base, con chiari modelli di riferimento a cui approcciarsi, con azioni che vanno programmate e interventi che vanno collegati in un disegno unico.
Il problema che pongo quindi è proprio questo: gli investimenti fatti sono frutto di un progetto preciso oppure sono mere attività sporadiche volte a creare illusioni in giovani che, ignari, possono andare incontro a problemi relativi a delle attività a limite della legalità? I quasi 50mila euro spesi in questi anni sono stati spesi in maniera ottimale oppure era il caso di investire maggiormente sulla frazione di Materdomini dove gli interventi fatti sono stati minimi e i flussi turistici degli ultimi anni hanno visto un notevole decremento delle presenze? Perché non si è lavorato sulla promozione di Materdomini e Caposele lavorando con azioni che potessero andare anche oltre i confini comunali? L’economia di Caposele centro ha avuto dei benefici da questi investimenti? Oppure a beneficiarne sono stati solo pochi direttamente interessati alle attività svolte pompate dai soldi pubblici?
Non era il caso di favorire la costituzione di un organismo che gestisse le strutture turistiche e la promozione del territorio, che incentivasse gli interventi sulla frazione di Materdomini e che accompagnasse il Comune nella definizione di un disegno turistico comune? Il tutto magari coinvolgendo e favorendo l’inserimento e la creazione di partnership con i privati del settore? Un organismo che con i giusti professionisti poteva accompagnare i ragazzi in un percorso di legalità professionale e di gestione corretta di tutto il sistema turistico comunale, che reinvestisse i soldi ricavati da tale attività nel mantenimento dell’integrità delle opere e degli spazi pubblici, senza destare sospetti sul flusso di denaro che non si sa dove va a finire?
Forse non era meglio puntare a potenziare il turismo di Materdomini e costruire di riflesso un progetto a lungo termine per il centro di Caposele; un progetto che incentivasse anche la costituzione di aziende private, che offrissero servizi turistici, dato che un ente pubblico non può gestire direttamente un’attività economica? Attivare azioni per far capire ai giovani che devono credere nelle attività e nei servizi turistici, accompagnandoli nello sviluppo delle loro idee?
Il turismo richiede questo, cooperazione pubblico/privato, professionalità, mentalità, progettualità e anche investimenti pubblici, magari canalizzati verso un unico obiettivo e che si ispirino alla legalità.

Turismo e sviluppo. «L’albergo diffuso», Quaglietta per incominciare.

pubblicato su io ho un sogno Blog

Sabato a Calabritto si è iniziato a parlare di un termine molto utilizzato nel Nord e Centro Italia, in un convegno dal titolo “L’Albergo diffuso” a cui erano presenti notevoli relatori ed esperti in materia turistica. Tutto perchè il Borgo di Quaglietta, che sta per essere completamente ristrutturato, sotto differenti punti di vista presenta le caratteristiche per diventare un albergo diffuso importante per tutte le aree interne dell’Irpinia, con una capacità ricettiva di circa 100 posti letto e degli elementi strutturali che ben si prestano a questa tipologia di attività.

Queste strutture non sono una novità, ma una realtà consolidata già presente e funzionante in Friuli, Umbria e nelle Marche, spesso inserite in borghi spopolati. Ma cos’è un albergo diffuso?Giancarlo Dall’Ara, professore espertissimo della materia, lo definisce «un esercizio ricettivo situato in un centro storico caratterizzato da una comunità viva, dislocato in più stabili vicini tra di loro, con gestione unitaria in grado di offrire servizi alberghieri a tutti gli ospiti». Quindi un ristretto numero di case distanti tra di loro pochi metri, magari in un bel borgo, con tutti i servizi offerti da un albergo, ma con una differenza: la gestione dei servizi stessi deve essere dei cittadini, quasi come se un paese ospitasse un amico.

Nella sala del convegno si è parlato delle caratteristiche necessarie per rendere un borgo un albergo diffuso di successo. Tralasciando le caratteristiche tecniche e architettoniche che a Quaglietta e in altri luoghi irpini ci sono tutte, i relatori hanno sottolineato che l’elemento principale che rende un albergo diffuso eccellente è il concetto di accoglienza fortemente legata al territorio, dove tutti si prodigano per fornire gli stessi servizi di un albergo all’interno di un paese. Dove tutto richiama al territorio, dal caffè al pranzo, all’arredamento, fino alle chiacchiere scambiate in piazza.  L’albergo diffuso, infatti, è proprio una struttura complessa che ingloba al suo interno non solo i servizi di pernottamento, ma anche l’insieme dei servizi che il singolo cittadino residente usufruisce quotidianamente, dal bar all’edicola, a tutti i luoghi pubblici del paese.

Allora la difficoltà di gestire un “turista da albergo diffuso” è molto alta. Questo perché gli ospiti di questa tipologia di strutture non cercano elementi di grande attrattività (come il Colosseo ad esempio), ma vogliono un’esperienza diversa che gli permetta di vivere a pieno una località, vogliono fare esperienza del luogo, essere quasi dei residenti e trattati come tali. Un albergo diffuso deve essere quindi capace di trasmettere questo, di essere albergo e casa, dove da un lato i servizi di un albergo non sono negati, quali colazione in camera, ristorazione, pulizia ecc, e dall’altro sono presenti tutta una serie di servizi che la comunità offre al turista insieme al residente.

La piazza di Quaglietta

Ed è proprio questa la difficoltà: il territorio va coinvolto attraverso una serie di azioni che lo rendano consapevole di questo. Va creata una cultura dell’accoglienza che non faccia vedere il turista come un turista, ma come un residente appunto. 

E l’Irpinia può essere maestra in questo, Quaglietta e il suo Borgo anche. Siamo una terra che presenta tutte le caratteristiche necessarie allo sviluppo di questa tipologia di attività non solo a Quaglietta. Siamo territori martoriati dal fenomeno dell’emigrazione dove nel post terremoto c’è  stata una ricostruzione che ha portato alla realizzazione di numerose strutture, che oggi sono vuote e spesso di proprietà comunale, in tanti paesi e tanti centri storici. Riconvertirle a camere di albergo non sarebbe difficile. Abbiamo tanti borghi splendidamente ricostruiti, fruibili e unici. Inoltre siamo un popolo con l’innata capacità di accogliere e far sentire a proprio agio chiunque, che facilmente sarebbe capace di integrare questa tipologia di turista rurale. E allora Caposele, Rocca San Felice, Sant’Angelo dei Lombardi, Gesualdo, Torella dei Lombardi, Castelvetere, Volturara, Bagnoli Irpino, Bisaccia, e tanti altri, potrebbero essere tanti alberghi diffusi, alcuni lo sono già. Magari una rete di alberghi diffusi irpini.

Ma ritornando a Quaglietta e al suo Borgo, durante l’incontro l’Amministrazione Comunale si poneva il problema della gestione della struttura che indubbiamente è complessa. Ci si chiedeva se affidarla a mani di imprenditori esperti con esperienza alle spalle, o magari a giovani del posto. Il sindaco poneva proprio questa questione e cercava soluzioni tra i relatori, i quali non hanno dato una soluzione diretta e tecnica al problema, ma hanno sottolineato e fatto intendere com’è fondamentale che la gestione resti al territorio, per evitare che la comunità si senta sottratta di un proprio bene e che quindi venga meno l’elemento fondante di un albergo diffuso, quale il legame con il territorio. E quanto sia allo stesso tempo importante affidarlo anche a chi della materia ne conosce i segreti.

E allora non è difficile capire che quando ci sarà il bando di gara ogni tipo di clientilismo dovrà essere lasciato a casa e che le comunità di Quaglietta e Calabritto dovranno essere coinvolte, ma anche che a capo ci dovrà essere una persona che non è del posto ma che sia però irpino. La migliore soluzione dovrà prevedere sicuramente una regolamentazione del rapporto pubblico-privato ottimale, con l’individuazione di una serie di paletti che limitino lo sfruttamento incontrollato del Borgo da parte di chi per sua natura punta al profitto. La forma della cooperativa formata da giovani del posto che conoscono tradizioni e territorio sembra quindi l’ideale, con all’interno alcune professionalità, esperienze e studi nel settore che necessariamente dovranno esserci.  L’organismo gestore dove impegnarsi a instaurare degli accordi commerciali con tour operator che operano in questo ramo e creare una serie di pacchetti turistici che includano prodotti tipici e esperienze vere, luoghi e visite non solo a Quaglietta, ma ovviamente in tutto il territorio irpino.

L’appoggio delle istituzioni dovrà necessariamente esserci a prescindere dal colore politico. Questo perchè la manutenzione per i primi anni non potrà essere a carico completo del gestore e tutti i servizi pubblici di decoro e pulizia dell’urbano dovranno essere curati al meglio. Per garantire programmazione l’affidamento non dovrebbe essere inferiore ad un periodo di almeno 10 anni e non dovrà prevedere canoni di affitto, anzi agevolazioni per chi volesse insieme al gestore, entrare nel Borgo per inserire un’attività tipiche del luogo (es. locali gratuiti). In seguito alla fase di avviamento, un diritto di prelazione sulla gestione dovrà necessariamente essere previsto al vecchio gestore in fase di scadenza. Nessun privato altrimenti farebbe offerte per gestire un qualcosa su cui non poter programmare. Il concetto di programmazione infatti è centrale. Chi vorrà aspirare a gestire un progetto di questo tipo dovrà avere ben chiaro in mente cosa vuole fare e dove vuole arrivare.

Quindi, aldilà degli aspetti meramente tecnici e di forma, dovrà esserci anche la presentazione di un business plan e di una progettazione che individui l’insieme delle azioni che il gestore vorrà attuare nel borgo e nella comunità. In tal modo il pubblico potrà valutare costantemente i progressi e gli step da seguire e confrontare i risultati previsti con quelli ottenuti nel tempo. Si dovrà capire bene dal progetto o dal business plan cosa il gestore vorrà fare della struttura nei successivi dieci o venti anni. La promozione dovrà essere affidata completamente al gestore, che insieme con la Proloco potrà creare le opportune attività di promozione dei prodotti tipici e tutte le idonee azioni di marketing sull’intero territorio irpino. Infine, fin da subito, la popolazione dovrà essere coinvolta, formata e informata dall’opportunità che ha, delle potenzialità e delle energie necessarie affinché il Borgo possa essere il centro della vita di Quaglietta e dell’Irpinia con l’obiettivo di creare per il turista un ambiente reale e non finto che lo faccia sentire a casa ed in una grande famiglia. Perché chi va in un albergo diffuso cerca proprio questo, lontano dalla logica e il mito dei grandi numeri, che non sempre portano vantaggi e redditività come spesso si crede.

Meglio il turismo nostrano? Lucca.

pubblicato su Selacapo.net

Troppe volte nello scorrazzare nel mondo andiamo a sottovalutare quello che ci circonda, accade con l’Irpinia, ma soprattutto con l’Italia. Prendere l’aereo è emozionante, scendere in aeroporto e sentirsi estranei, diversi rispetto al contesto fa vibrare la pelle, il sentire un’altra lingua è unico, la strana psicologia del viaggio che  ci spinge all’estero è spesso in noi: è voglia di diverso.
L’Italia però riserva sorprese in Irpinia, ma le riserva sopratutto fuori dai grandi centri sovraffollati di giapponesi armati di tecnologia avanzata: vivere questi luoghi diventa magico a volte.
Ѐ ora di provvedere a farvi conoscere anche l’emozione di un treno che vi porta in Toscana, dove ad esempio, se provate a non andare a Firenze, a San Gimignano, a Pisa, a Siena….trovate Lucca, che scommetto dovete cercare su google maps. Fuori dai circuiti del denaro, dei grandi flussi.
Ѐ come se fosse lì e nessun italiano se ne fosse accorto, un gioiellino plastificato dove la tradizione toscana è ad aspettarti, a misura di turista, forse non italiano.

Le classiche mure che avvolgono tutta la “Toscana centro abitato” sono lì a proteggere un piccolo centro storico, dove mancano solo le carrozze e i cavalli a mettere a rischio le tue scarpe nuove. Dalla stazione hai voglia di andare indietro nel tempo, le porte ti permettono di entrare senza difficoltà nella protezione offerta da una costruzione che in passato era la difesa di un popolo. Sono ancora lì, oggi a farti cambiare tempo e proteggerti dal mondo moderno.

Il primo obiettivo in un labirinto di stradine medievali è un infopoint. L’individuazione di un itinerario di tre ore, senza musei, solo aria. La passeggiata sulle mura Urbane permette di avere una panoramica diversa della città: leggermente distaccati ma completamente presi, la sensazione di esserci e di poter dominare un labirinto complicato. Prima o poi si scende, decisi ad affrontare un pezzo d’Italia che nessuno al mondo possiede. E’ ora di viverlo.
Il gioiellino si rivela presto: palazzo Pfanner e la sua fontana convincono che il labirinto medievale può essere risolto, dopo un cartina presa all’infopoint è più facile, credi. La prima sensazione scesi nelle mura è di sicurezza: quella che sentono da anni chi vive qui. Il caldo senso di protezione non ti fa sentire nemmeno la pioggia che cade.
Via Santa Lucia ci porta in Piazza San Michele: bianca, intatta, vicina e nel centro. Maestosa come l’avevamo vista dalle mura, il marmo di Carrara bianco che domina si mostra nel suo splendore degli anni.
La Toscana c’è tutta, dall’odore del caciucco al “maremma bucaiola” del vicino. Tutto come se si fosse a Firenze, più piccolo, originale, calmo.
L’obiettivo però è il pezzo forte della città: l’Anfiteatro. Ti aspetti un piccolo Colosseo, un’arena di Verona, lo cerchi e non lo trovi, alla fine ti ci ritrovi nel mezzo: l’ansia di trovarlo non ti ha fatto accorgere che è “Piazza dell’Anfiteatro”. Un circolo di case poste come un tetris in forma circolare, colorate e disegnate da un artista il cui obiettivo era di farti roteare su te stesso nel mezzo di essa senza che tu te ne accorgessi. L’ammirazione per questo pezzo d’Italia è inevitabile.

Liberatesi dall’ipnosi della piazza diventa impossibile vedere la Torre Guinigi, altro pezzo forte indicato all’uscita dall’Anfiteatro. Questo labirinto medievale anche cartina alla mano mette in difficoltà, la torre è incollata alle case, quasi a non voler disturbare, eppure è solo a pochi passi alla tua sinistra, toccarla con mano e sentire la storia delle tipiche famiglie lucchesi che l’hanno abitata per anni è facile, una casa romanico-gotica da dove puoi ammirare la città meglio che dalle mura, se sali.

 Godersi la bici che quasi ti investe sorridendo, perdersi e ritrovarsi in “Vicolo della Felicità”,  sentirsi felici davvero e volerci restare a vita in quell’attimo, ritrovarsi e arrivare alla Torre delle Ore, bella, chiara e padrona della sua piccola piazza, con l’orologio a ricordarti del tempo che passa veloce: Lucca è così. Le strade del centro sono affollate, strette, scure, vivaci come un centro turistico normale, dove però a dominare sono gli stranieri.
Mi chiedo se la maggioranza degli italiani conosca questo posto e perché la maggioranza degli stranieri ci viene, ma la risposta l’ho già trovata. Il centro brulica, ti fa sentire vivo e leggero mentre la Cattedrale di San Martino ti appare. I porticati aggiunti poi e il campanile che la sovrastano, manifestano lo stile tipico dei monumenti toscani, stranamente uguali ma sorprendentemente diversi. Ogni volta una bocca spalancata, occhi sbarrati, sia dei giapponesi che degli americani; gli italiani sono abituati. All’interno l’ultima cena del Tintoretto, quella di Leonardo spero sappiate dove sia.
A questo punto l’uscita è dietro l’angolo, stranamente facile, il ritorno alla modernità anche. La stazione pronta ad aspettarti per la prossima destinazione italiana o straniera che sia, ma sicuramente con la convinzione che forse vale la pena anche di non prendere l’aereo ogni tanto.

L’altro turismo delle SPA.

Fin ora vi ho raccontato un turismo estremo, fatto di luoghi, località sconosciute e accessibili tutto sommato ai più.
Ora mi tuffo nel concetto di spa. Un turismo fatto di tanti piccoli elementi come una foto divisa in pixel che formano un tutt’uno perfetto, che produce utili. Un lato del turismo che non tutti conoscono e non tutti possono permettersi, e che quindi questa rubrica deve raccontare.
Oltre alle s.p.a. dei villaggi turistici, dei tour operator, degli alberghi abbiamo SPA che sono dietro ogni angolo, spuntano, lavorano, producono anche se molte se ne stanno accorgendo solo ora.
Distribuiscono utili. Voltano il nostro modo di vivere e creano bisogni che prima non avevamo.
Il segreto di un prodotto di successo è proprio questo, creare bisogni che prima non c’erano, inducendoci ad acquistare qualcosa di cui potremmo anche fare a meno.
Il piccolo centro sotto casa può essere una s.r.l., ma è una spa… il grosso centro termale fuori porta può essere una s.p.a. ma non una spa…. Che confusione!
Il sunto è che oggi viviamo di corsa, in crisi, è Natale tra un po’. Il benessere è un lusso. La salute anche.
L’analogia e la confusione per i più è dietro l’angolo tra s.p.a. e SPA.
Il caro capitalismo fatto di s.p.a., di società per azioni per intenderci, che sta affondando il mondo a noi non interessa.

Le SPA, le Salus Per Aquam, stanno risollevando il mondo del turismo, o almeno l’umore di chi le frequenta e di chi ci ha creato s.p.a..

Ma dove nasce questo bisogno di spa……? Credo principalmente nella mente del cittadino inscatolato in automobile, ogni giorno, tutti i giorni.
Sono costose, sono per pochi, ma non sono “la Gina sotto casa”, (le s.r.l.), intendiamoci (come diceva il mio caro prof. fiorentino riferendosi all’estetista di quartiere)! Ma cosa hanno di straordinario queste strutture ovattate che promettono “ringiovanimento” e benessere psicofisico? Sicuramente che quando entri cadi dalle nuvole… “Gradisce uno schiatsu o magari un hot stone?” “Oggi potrebbe provare un lomi lomi o magari, se preferisce qualche trattamento ayuerveda” “ I nostri operatori sono i migliori nei massaggi californiani e svedesi..”. “Abbiamo una doccia emozionale sensazionale…. un bagno turco da provare e un percorso estrusco che trova solo qui”. Spaesati, tutti!
Almeno la prima volta è come fare il giro del mondo in due minuti. Tutto sommato un nuovo viaggio, anche nuove culture da scoprire.
Un viaggio fatto di nuovi termini, orientali e non, colmo della parola trattamento e inondato di profumi e sensazioni. Con culture che si mischiano e orizzonti che si aprono. Sicuramente speciale.
Rinasci: ti vendono un’insieme di elementi che toccano i 5 sensi senza che tu te ne accorga se non quando sei sul divano di casa tua a cambiar canale con il telecomando.
Quando entri in cabina (cabina?) sei pronto a immergenti in te stesso, a pensare solo che tra 50 minuti sarai come nuovo.
Un mix di colori, profumi e mani magiche che diventano un’assuefazione di sensazioni a cui non potrai mai più rinunciare.
Le calde mani di un professionista di avvolgono, le impurità (qualunque esse siano) le abbandoni in quella stanza. Il caldo sapore degli olii essenziali ti risvegliano la mente.
Ti coccolano, dicono. Ed è assolutamente così.
Mi sono chiesto però…. Saranno posti per allocentric tourist? Stiamo attenti.
Ci sono delle SPA, artificiali o naturali che davvero ti fanno sentire fuori dal mondo per qualche ora e potrebbero convincere anche il più estremo dei turisti con zaino in spalla.
E dove l’alloncetric potrebbe anche sentirsi a suo agio. Sono convinto che la scoperta non è solo territorio, ma anche sensazioni, novità, culture nuove che qui ci sono è come.
Se a ciò aggiungete che spesso troverete massaggi personalizzati a seconda del massaggiatore il gioco per l’allocentric diventa interessante.
Questo perché in India, patria dell’Ayuerveda, ogni persona sviluppa un suo modo di massaggiare differente e che solo lui sa fare, personalizza.
Si generano migliaia e migliaia di trattamenti differenti…migliaia e migliaia di proposte differenti che è difficile scegliere e descrivere.
Al Le Fay sul Lago di Garda, ad esempio, nuoti in piscina ed è come se lo stessi facendo nel lago. Puoi tornare indietro nel tempo scegliendo di farti coccolare in una cabina greca, oppure romana. Puoi andare in un ambiente lunare immergendoti in un bagno salino…

Al Grotta Giusti Natural Spa Resort, a Monsummano Terme, invece, puoi esplorare una Grotta Naturale che ti da la sensazione di scendere nell’Inferno Dantesco su tre livelli tra Laghi del Limbo. Nel frattempo però stai facendo un bagno turco… vivi una racconto e stai bene con te stesso.

All’Alpine Dolomites, in Alto Adige, ti permettono di vivere h24 ecosostenibile, tutto ciò che fai è pro-natura, tra la neve per lo più. All’interno ti sembra che anche l’aria che consumi non si trasformi in anidride carbonica.
A Merano, alle famose terme, puoi scegliere se fare un bagno al vino oppure al fieno, curarti, rilassarti, depurarti o rigenerarti….
Infine, se vuoi esagerare, entra nel sito web dell’Orso Grigio, e già da li capisci che forse la Gina sotto casa può anche bastare… perché prenotare una villa non è proprio per mortali.
Ma il turista lo si fa anche così, costruendosi un sogno di qualcosa che prima o poi può anche realizzarsi. La chiamiamo aspettativa…
Roba da ricchi a volte, anche se molti dei trattamenti sono convenzionati con l’Asl e puoi prenderti cura di te prendendo Ryanair.
Dopo averle girate tutte queste strutture (magari dopo una vita intera), non solo ti sentirai meglio, ma avrei scoperto che essere turista significa anche prendersi cura di se, nella mente e nel corpo. Pensateci….
Forse ho esagerato, ma per Natale vi ho voluto regalare dei sogni… Auguri!

Turismo e sviluppo. “L’albergo diffuso”.

Sabato a Calabritto si è iniziato a parlare di un termine molto utilizzato nel Nord e Centro Italia, in un convegno dal titolo “L’Albergo diffuso” a cui erano presenti notevoli relatori ed esperti in materia turistica. Tutto perchè il Borgo di Quaglietta, che sta per essere completamente ristrutturato, sotto differenti punti di vista presenta le caratteristiche per diventare un albergo diffuso importante per tutte le aree interne dell’Irpinia, con una capacità ricettiva di circa 100 posti letto e degli elementi strutturali che ben si prestano a questa tipologia di attività.
Queste strutture non sono una novità, ma una realtà consolidata già presente e funzionante in Friuli, Umbria e nelle Marche, spesso inserite in borghi spopolati. Ma cos’è un albergo diffuso? Giancarlo Dall’Ara, professore espertissimo della materia, lo definisce «un esercizio ricettivo situato in un centro storico caratterizzato da una comunità viva, dislocato in più stabili vicini tra di loro, con gestione unitaria in grado di offrire servizi alberghieri a tutti gli ospiti». Quindi un ristretto numero di case distanti tra di loro pochi metri, magari in un bel borgo, con tutti i servizi offerti da un albergo, ma con una differenza: la gestione dei servizi stessi deve essere dei cittadini, quasi come se un paese ospitasse un amico.
Nella sala del convegno si è parlato delle caratteristiche necessarie per rendere un borgo un albergo diffuso di successo. Tralasciando le caratteristiche tecniche e architettoniche che a Quaglietta e in altri luoghi irpini ci sono tutte, i relatori hanno sottolineato che l’elemento principale che rende un albergo diffuso eccellente è il concetto di accoglienza fortemente legata al territorio, dove tutti si prodigano per fornire gli stessi servizi di un albergo all’interno di un paese. Dove tutto richiama al territorio, dal caffè al pranzo, all’arredamento, fino alle chiacchiere scambiate in piazza.  L’albergo diffuso, infatti, è proprio una struttura complessa che ingloba al suo interno non solo i servizi di pernottamento, ma anche l’insieme dei servizi che il singolo cittadino residente usufruisce quotidianamente, dal bar all’edicola, a tutti i luoghi pubblici del paese.
Allora la difficoltà di gestire un “turista da albergo diffuso” è molto alta. Questo perché gli ospiti di questa tipologia di strutture non cercano elementi di grande attrattività (come il Colosseo ad esempio), ma vogliono un’esperienza diversa che gli permetta di vivere a pieno una località, vogliono fare esperienza del luogo, essere quasi dei residenti e trattati come tali. Un albergo diffuso deve essere quindi capace di trasmettere questo, di essere albergo e casa, dove da un lato i servizi di un albergo non sono negati, quali colazione in camera, ristorazione, pulizia ecc, e dall’altro sono presenti tutta una serie di servizi che la comunità offre al turista insieme al residente.

La piazza di Quaglietta
Ed è proprio questa la difficoltà: il territorio va coinvolto attraverso una serie di azioni che lo rendano consapevole di questo. Va creata una cultura dell’accoglienza che non faccia vedere il turista come un turista, ma come un residente appunto.
E l’Irpinia può essere maestra in questo, Quaglietta e il suo Borgo anche. Siamo una terra che presenta tutte le caratteristiche necessarie allo sviluppo di questa tipologia di attività non solo a Quaglietta. Siamo territori martoriati dal fenomeno dell’emigrazione dove nel post terremoto c’è  stata una ricostruzione che ha portato alla realizzazione di numerose strutture, che oggi sono vuote e spesso di proprietà comunale, in tanti paesi e tanti centri storici. Riconvertirle a camere di albergo non sarebbe difficile. Abbiamo tanti borghi splendidamente ricostruiti, fruibili e unici. Inoltre siamo un popolo con l’innata capacità di accogliere e far sentire a proprio agio chiunque, che facilmente sarebbe capace di integrare questa tipologia di turista rurale. E allora Caposele, Rocca San Felice, Sant’Angelo dei Lombardi, Gesualdo, Torella dei Lombardi, Castelvetere, Volturara, Bagnoli Irpino, Bisaccia, e tanti altri, potrebbero essere tanti alberghi diffusi, alcuni lo sono già. Magari una rete di alberghi diffusi irpini.
Ma ritornando a Quaglietta e al suo Borgo, durante l’incontro l’Amministrazione Comunale si poneva il problema della gestione della struttura che indubbiamente è complessa. Ci si chiedeva se affidarla a mani di imprenditori esperti con esperienza alle spalle, o magari a giovani del posto. Il sindaco poneva proprio questa questione e cercava soluzioni tra i relatori, i quali non hanno dato una soluzione diretta e tecnica al problema, ma hanno sottolineato e fatto intendere com’è fondamentale che la gestione resti al territorio, per evitare che la comunità si senta sottratta di un proprio bene e che quindi venga meno l’elemento fondante di un albergo diffuso, quale il legame con il territorio. E quanto sia allo stesso tempo importante affidarlo anche a chi della materia ne conosce i segreti.
E allora non è difficile capire che quando ci sarà il bando di gara ogni tipo di clientilismo dovrà essere lasciato a casa e che le comunità di Quaglietta e Calabritto dovranno essere coinvolte, ma anche che a capo ci dovrà essere una persona che non è del posto ma che sia però irpino. La migliore soluzione dovrà prevedere sicuramente una regolamentazione del rapporto pubblico-privato ottimale, con l’individuazione di una serie di paletti che limitino lo sfruttamento incontrollato del Borgo da parte di chi per sua natura punta al profitto. La forma della cooperativa formata da giovani del posto che conoscono tradizioni e territorio sembra quindi l’ideale, con all’interno alcune professionalità, esperienze e studi nel settore che necessariamente dovranno esserci.  L’organismo gestore dove impegnarsi a instaurare degli accordi commerciali con tour operator che operano in questo ramo e creare una serie di pacchetti turistici che includano prodotti tipici e esperienze vere, luoghi e visite non solo a Quaglietta, ma ovviamente in tutto il territorio irpino.
L’appoggio delle istituzioni dovrà necessariamente esserci a prescindere dal colore politico. Questo perchè la manutenzione per i primi anni non potrà essere a carico completo del gestore e tutti i servizi pubblici di decoro e pulizia dell’urbano dovranno essere curati al meglio. Per garantire programmazione l’affidamento non dovrebbe essere inferiore ad un periodo di almeno 10 anni e non dovrà prevedere canoni di affitto, anzi agevolazioni per chi volesse insieme al gestore, entrare nel Borgo per inserire un’attività tipiche del luogo (es. locali gratuiti). In seguito alla fase di avviamento, un diritto di prelazione sulla gestione dovrà necessariamente essere previsto al vecchio gestore in fase di scadenza. Nessun privato altrimenti farebbe offerte per gestire un qualcosa su cui non poter programmare. Il concetto di programmazione infatti è centrale. Chi vorrà aspirare a gestire un progetto di questo tipo dovrà avere ben chiaro in mente cosa vuole fare e dove vuole arrivare.
Quindi, aldilà degli aspetti meramente tecnici e di forma, dovrà esserci anche la presentazione di un business plan e di una progettazione che individui l’insieme delle azioni che il gestore vorrà attuare nel borgo e nella comunità. In tal modo il pubblico potrà valutare costantemente i progressi e gli step da seguire e confrontare i risultati previsti con quelli ottenuti nel tempo. Si dovrà capire bene dal progetto o dal business plan cosa il gestore vorrà fare della struttura nei successivi dieci o venti anni. La promozione dovrà essere affidata completamente al gestore, che insieme con la Proloco potrà creare le opportune attività di promozione dei prodotti tipici e tutte le idonee azioni di marketing sull’intero territorio irpino. Infine, fin da subito, la popolazione dovrà essere coinvolta, formata e informata dall’opportunità che ha, delle potenzialità e delle energie necessarie affinché il Borgo possa essere il centro della vita di Quaglietta e dell’Irpinia con l’obiettivo di creare per il turista un ambiente reale e non finto che lo faccia sentire a casa ed in una grande famiglia. Perché chi va in un albergo diffuso cerca proprio questo, lontano dalla logica e il mito dei grandi numeri, che non sempre portano vantaggi e redditività come spesso si crede.

Malati di mondo, contagiati ingoiando pillole.

“E’ ora di ricominciare” mi sono detto dopo mesi di impegni e inattività narrativa…. Ricominciare a viaggiare tra l’Europa e l’Irpinia per invitare i nostri lettori a riflettere su fatto che il mondo è essenzialmente piccolo e che esserne malati tuttavia è un bene.
Ora però non starò qui a raccontarvi un’altra località magari affossando Bucarest con un solo est…, voglio ricominciare deliziandovi su temi differenti, perché credo sia utile per tutti voi riconoscere i sintomi della necessità di viaggiare, conoscere chi ha creato tutto ciò, cosa si prova a vivere qualcosa di intangibile e le sensazioni che ti avvolgono nel post. Ma soprattutto quando il viaggio diventa una malattia….
Scoprire località, infatti, è come essere contagiati da un virus. Le pillole che prendi rappresentano gli elementi del viaggio e ogni nuova pillola una sensazione da riprovare.
Chi viaggia lo fa sostanzialmente per due motivi: per lavoro o per svago, per leisure direbbero i tecnici. Noi lavoriamo su chi si ammala di mondo… appunto quest’ultimi. Noi, operatori o medici del turismo, ci lavoriamo con questa malattia.
Il viaggio inizia sempre con delle pagine bianche…. Vuote e costituire solo di prospettive che non conosciamo e che prevedono la sensazione di riempirle con qualcosa che non vediamo, che è bianco, appunto. Candido e immaginato pronto ad essere colorato.
La nascita e lo sviluppo del bisogno del viaggio è quindi la prima pagina di un diario che vuole solo essere riempito di colori, parole che noi abbiamo ben in mente. Chi sente questa necessità la avverte dentro, oppure qualcuno ve la ficca, andando a regalarvi quella prima pagina bianca attraverso un’esperienza, un racconto, una pazzia vissuta.
A quel punto, ogni buon leisure che si rispetti colora la seconda pagina di rosso, fatta di motivazione, forte e intensa, che tu vuoi necessariamente soddisfare come fossi un vampiro assetato di sangue… caldo e rosso appunto.
La motivazione è il primo sintomo della psicologia inversa del viaggio: più ingoi pillole, più ti ammali.
Quella malattia che all’inizio combatti con pillole di sicurezza fatte dalla tua camera da letto, di pasti caldi della famiglia, di spaghetti e pizza comuni nella tua vita. Queste pillole ti aiutano a non far avanzare la malattia, l’antidolorifico per un virus che non muore ma che costantemente resta. E tu, nella pagina rossa del tuo diario ormai lo hai scritto….. di essere stato contagiato.
A quel punto il virus che hai provato a combattere a suon di pillole ti invita a riempire le pagine colorate del tuo diario e controllando la tua mente, ti porta a pensare che è ora di provare un’altra medicina, risolutiva magari. Una pillola di un altro paese, che non sia fatta di spaghetti, ma magari di tortillas… la malattia però non riesci a combatterla, ti rendi conto che le pillole forse non sono l’antidoto. Nonostante ciò cerchi disperatamente nuove pillole che possano aiutarti a ritornare alla tua pagina bianca, ma ormai sei pronto a colorare il tuo diario di tante pagine verdi…. quelle dei viaggi: sei malato davvero a quel punto.
Riesci ad avere un lieve sollievo dal male solo dopo che hai provato differenti pillole, quando hai l’illusione, dopo l’ennesima ricerca disperata di soluzione alla tua malattia di esser guarito: è la soddisfazione di essere riuscito a provare qualcosa di nuovo, differente dalla solita pillola antidolorifica.
Quella soddisfazione allevia per breve tempo la tua malattia di mondo, ma inevitabilmente, il virus che ti ha contagiato è in te e ti spinge nella ricerca della prossima pillola, che magari, pensi, ti può guarire. Ma non è così. Cercherai sempre pillole differenti non guarendo mai….. una volta contagiato di mondo.
La pillola della soddisfazione è successiva alla pillola della motivazione infatti: quanto più grande è stata l’aspettativa, tanto più grande sarà la soddisfazione nel aver realizzato il tuo viaggio e ingoiato quella pillola.
Il diario della tua malattia poi si riempie di un’ultima pagina nera, fatta di quella sensazione che ogni malato di mondo ha quando torna ai propri spaghetti, è li che pensi che le pillole di casa propria basteranno per tenere buono il virus per un po’: sono le pillole della solitudine del dopo.
Ma prima o poi il virus ritornerà a chiederti di ricercare un’altra pillola, e invitarti a riscrivere le pagine verdi del tuo diario, quelle che ognuno di noi per guarire dalla malattia dovrebbe avere con se.
Essere malati di mondo comporta che ad un certo punto non puoi non curarti e le pillole che trovi in giro sono l’unico modo per farlo… e quindi rinasce la motivazione, pagina rossa. E riparti verso nuove pillole, nell’affannosa ricerca della guarigione dalla malattia di mondo semplicemente non guarendo mai…. Pensateci se non è così!

Le buone prassi per un nuovo turismo a Caposele

Sono le premesse per uno sviluppo turistico coeso?

pubblicato su La Sorgente.
La tanto attesa svolta è forse giunta. Spiragli di novità si sono intravisti all’interno della nostra comunità dopo l’estate 2009. L’avvento dei reclamati giovani c’è stato e i risultati si sono visti.
Abbiamo assistito ad un’estate molto interessante che pone spunti di riflessione in materia di turismo e di giovani.
Erano anni che a Caposele non si vedevano eventi degni di essere definiti tali, che attirassero l’interesse delle popolazioni limitrofe e portassero una ventata di novità.
Il merito è di tante organizzazioni che hanno evidenziato come se si lascia lo spazio ai giovani diventa tutto possibile e raggiungibile.
La nuova ventata turistica per Caposele infatti, potrebbe partire proprio da loro: dalle facce nuove di questi giovani.
Raggruppati in varie forme associative, dalla Pro loco Giovani alle varie associazioni quali “I Liberi Commedianti” e gli “Animatori Running Sele”, passando per il Forum dei Giovani fino a vari gruppi informali quali l’Us and Them, sono emerse numerose potenzialità che la “politica dei grandi” deve mettere nelle condizioni di esprimersi se non vuole vedere perdere un’altra possibilità, l’ennesima possibilità.
I giovani hanno ampiamente dimostrato di avere le capacità per poter dire la loro nel settore turistico dove la novità, l’elasticità e la rapidità di presa delle decisioni rappresentano gli elementi cruciali per lo sviluppo.
Il successo non solo di pubblico delle varie iniziative presentate all’interno del ferragosto 2009 hanno posto l’accento su un problema: l’incapacità dei “grandi” di avere una visione turistica programmatica e innovativa per il nostro paese.
I giovani invece hanno colto il punto: il nuovo turismo deve integrare il vecchio e il nuovo, come nel caso del Guinness della Quadriglia, deve avere continuità d’azione, vedi il successo della Quinta Caccia al Tesoro consecutiva del Forum dei Giovani, sacrificio e impegno come dimostrato dall’ARS, ma soprattutto deve puntare su elementi culturali del nostro territorio quali elementi collanti tra passato e futuro, come evidenzia il lavoro dei “I Liberi Commedianti”.
La grande capacità di coordinamento e organizzazione di questi gruppi dimostra che essi hanno tutte le competenze necessarie ad implementare eventi e programmi turistici di successo.
Sono buone prassi che chi di dovere non può non considerare e coinvolgere per progettare il futuro del turismo nel nostro Comune. La semplicità di questi successi sta nella voglia di tali gruppi di raggiungere degli obiettivi disparati e differenti per ognuno di essi, nella forte motivazione che è alla base, ma soprattutto sono dati dal fatto che sono gruppi gestiti interamente da giovani.
Essi non vogliono sottostare a regole dettate dall’alto, vogliono essere coinvolti nel processo decisionale, partecipare alla definizione del budget da spendere, per poi essere disposti anche a sacrificare un’estate per il proprio paese. Ma troppo spesso vengono considerati manovalanza che non può decidere, e quindi saranno sempre pochi quelli che lavoreranno per la comunità e non per se stessi o per il loro gruppo.
Se queste energie fossero convogliate per un obiettivo comune, dove tutti possono decidere quale è l’obiettivo, allora vedremmo dei risultati che potrebbero essere sorprendenti.
E’ chiaro che tali giovani meritano rispetto e considerazione, la loro intraprendenza e visione futurista delle cose, unita al grande entusiasmo possono essere la spinta necessaria a portare finalmente Caposele ad avere uno slancio definitivo verso un nuovo e florido periodo di ripresa.
Lo spazio se lo sono meritato i nuovi caposelesi, adesso tocca a chi detiene il potere decisionale considerarli in maniera seria all’interno dei programmi, dandogli le chiavi per poter fare ancora di più, altrimenti l’entusiasmo, spento dalle false promesse, farà sprofondare le prospettive dello sviluppo turistico in una gola profonda senza fine.
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