La verità è che l’Irpinia non conosce cosa significhi turismo.

L’ultima vicenda che ha visto protagonista il piccolo borgo di Monteverde e il suo Sindaco sulla questione pale eoliche e “il turismo che non c’è”, come da lui definito, mi ha indotto a riflettere proprio su quest’ultimo punto.
Quella di Monteverde è una triste storia che coinvolge non solo questa piccola realtà, ma è una questione che può essere tranquillamente spostata di riflesso su tutta la provincia di Avellino da Taurasi a Caposele, da Calitri a Montoro.
Le pale eoliche del Formicoso.
La storia della nostra terra è sempre la stessa ed è fatta di scelte: scegliere il presente (e i soldi delle multinazionali che inquinano terre e paesaggi) o il futuro, basato su un’economia che sia davvero turistica (o magari anche altra).
Di storie come questa l’Irpinia ne è tristemente piena: Caposele e la Pavoncelli bis, Conza della Campania e il suo invaso, l’Alta Irpinia e le trivellazioni.
Il principale problema a mio avviso è che non si conosce cosa sia il turismo e quali siano in realtà le sue reali potenzialità.
Il turismo, per fortuna, è una cultura e un fenomeno che vanno inseguiti, curati e realizzati negli anni (10- 20 anni) con costanza e insistenza perché possano portare dei veri risultati in termini di occupazione, sviluppo, crescita.
Un fenomeno molto complesso che include al suo interno tutti i settori, dal trasporto alla formazione, dai lavori pubblici ai servizi sanitari.
Un settore talmente delicato che non può essere approcciato con superficialità ma che necessita di decisioni, obiettivi e azioni mirate volte a costruire un sistema che possa attirare chi, sulla spinta di una motivazione forte, sia disposto ad acquistare e spendere tempo libero per il prodotto “Irpinia” e non solo per i singoli eventi, i prodotti tipici o i borghi in essa presenti.
L’invaso di Conza della Campania (AV)
L’inseguimento di questo sogno è però incompatibile con la politica e la cronica necessità del consenso ricercato dagli amministratori, facilmente raggiungibile attraverso “i ristori economici” delle pale eoliche, delle convenzioni sull’acqua, dagli accordi con le multinazionali.
L’impressione che ho è che l’Irpinia non abbia tutto questo tempo per divenire realmente turistica. Soprattutto penso che non possa diventarlo perché condizionata dalla fretta del consenso e dalla necessità di portare risultati immediati frutto di una mentalità che la nostra terra è abituata da decenni ad avere, legata ad un clientelismo del chiedi/hai.
Il turismo non è e non può essere immediato. Il turismo si costruisce con le idee e i progetti, con la testardaggine. 
Un destinazione turistica (non un solo comune) si crea costruendo dapprima i servizi per i cittadini, essenziali anche per i turisti, tutelando il territorio e le specificità dello stesso, fornendo e incentivando la costruzione di servizi turistici pubblici e privati, garantendo trasporti e, infine, promuovendo bene il tutto.
In fondo passaggi semplici e allo stesso tempo difficili perché trasversali nei settori, ovvi nella realizzazione, impossibili nei fatti.
Il cantiere Pavoncelli Bis di Caposele (AV).
L’Irpinia oggi è questa terra di contraddizioni dove il turismo vive a sprazzi e non riesce ancora a convincere realmente i politici, gli abitanti e gli imprenditori della necessità di porsi un reale obiettivo di territorio da qui a 20 anni e di costruire nel tempo le azioni necessarie per raggiungere tale obiettivo.
E se pensiamo solo al denaro nelle casse dei comuni oggi, questo obiettivo turistico per il domani non lo raggiungeremo mai anche se, puntualmente, ogni candidato di turno ce lo proporrà come soluzione.

A quel punto avrà ragione il Sindaco di Monteverde, che almeno smette di dire che il turismo è una potenzialità ammettendo che non esiste.

Turismo: quanto contano la programmazione e, soprattutto, gli eventi.

La vita di una località turistica che tale intende presentarsi sul mercato turistico regionale, nazionale e perché no, internazionale, ruota intorno a delle peculiarità che sono senza dubbio legate ai propri attrattori e alle proprie risorse turistiche, ma sono anche legate alla propria capacità di organizzarsi e di offrire qualcosa che attiri flussi turistici anche senza grandi risorse.
Ne sono un esempio storico la riviera romagnola che, pur non avendo il miglior mare del mondo (e nient’altro), è riuscita negli anni passati a divenire meta di turismo di massa grazie a degli interventi mirati sugli eventi e all’organizzazione di una particolare offerta turistica, creando tutto dal nulla.

Ne sono un esempio località come Melpignano che intorno alla Taranta ha costruito un impero.
Sono esempi che evidenziano come non si possa decidere di diventare meta di vero turismo (quello che dorme, mangia, beve e entra nei musei) con uno schiocco di dita che dall’oggi al domani porta a migliaia di presenze annue.
I risultati li si ottengono nel tempo attraverso una parola molto difficile da comprendere e inculcare nelle amministrazioni che gestiscono i nostri comuni: la programmazione.
Se Gallipoli, Salerno, la Puglia e altre località, prima erano inesistenti sul panorama turistico nazionale ed internazionale ed oggi sono rinomate località turistiche, è perché lo hanno deciso 10 anni fa e 10 anni fa hanno programmato tutte le azioni necessarie affinché oggi potessero essere quello che sono. 
I turisti lì non sono caduti dal cielo.

Hanno fatto una cosa che in Campania e in Irpinia, ma sopratutto a Caposele ancora non abbiamo compreso bene: hanno stabilito un obiettivo a lungo termine e perseguito lo stesso nel tempo definendo, anno per anno, gli step intermedi da raggiungere a piccoli passi.

L’Irpinia ancora non li ha definiti questi obiettivi, ancora non ha scelto i suoi step. E’ andata all’Expo ma tra 10 anni non sappiamo che cosa vogliamo essere: vino, enogastronomia, ambiente, montagna, castelli, sport, sagre?
Io non lo so e sono certo che non lo sa nessuno e non lo sanno i nostri amministratori.
La parola programmazione è una sconosciuta, non la si conosce nella scelta degli eventi e nella calendarizzazione degli stessi. I nostri calendari estivi si presentano sul panorama dell’offerta turistica nazionale, se va bene, nel mese di giugno: quando la maggior parte dei vacanzieri ha già scelto dove andare in vacanza.
Quanti programmano una vacanza, un weekend in un luogo non conoscendone gli eventi, o almeno gli eventi di maggior richiamo?
Quanti scelgono delle località il cui manifesto estivo esce il primo agosto e che non viene promosso in alcun modo? Ve lo dico io: nessuno.

Gli eventi sono importanti e utili solo se utilizzati come strumenti di richiamo e come elemento per portare a conoscenza di un certo target di persone una determinata località e attrattori, altrimenti sconosciuti. Devono essere specchietti per le allodole che attirano persone in un luogo per farglielo scoprire.
E’ per questo motivo che gli eventi vanno programmati, selezionati, potenziati e scelti in base alle esigenze turistiche che la località ha in mente. Altrimenti sono interventi spot volti a consumare denaro pubblico e ad accontentare l’amico insieme alla piazza per quell’estate.
Bisogna dunque fare una scelta anche nella costruzione degli eventi: si fa o non si fa turismo. Se lo si vuole fare gli eventi vanno agevolati, gli orari prolungati e le eccellenze premiate, anche a discapito di qualche ora di sonno e di un po’ di disagio per l’abitante locale.
D’altronde la convivenza tra l’abitante e il turista non è mai stata facile perché sono due categorie che hanno delle esigenze differenti, ma se si sostiene che si vuole fare turismo in certe località sono necessarie scelte dolorose per gli abitanti, a discapito di qualche voto ma a vantaggio di un’economia e di un progetto che altrimenti turistico non è.

Forza e coraggio, prendiamo queste decisioni, programmiamo questo futuro. 

Poli Turistici Locali: arriva il regolamento ed è ora di sbrigarsi.

E’ finalmente arrivato il regolamento che definisce le caratteristiche dei Poli Turistici Locali previsti dalla nuova Legge Turistica delle Regione Campania dell’8 agosto 2014.
Una struttura molto importante che rivede il modo di fare turismo in Regione non solo dal punto di vista della promozione, ma soprattutto dal punto di vista dell’organizzazione dell’offerta turistica di un dato territorio. Un modo, se non l’unico, per permettere al pubblico e al privato di questo settore di dialogare e confrontarsi per andare nella stessa direzione.
Una prima opinione in merito alla legge l’avevo già espressa in questo post, ma ora con i regolamenti attuativi, il quadro normativo e procedurale va via via definendosi meglio.
In merito molto importante è la commistione pubblico/privato prevista per il PTL; finalmente la Regione si è resa conto che le politiche turistiche non possono far a meno della partecipazione dei privati e che le scelte del settore non possono essere calate dall’alto.
In particolare infatti, il regolamento prevede che possano concorrere alla costituzione di un Polo Turistico Locale:

  1. Comuni o unioni di comuni ricompresi all’interno dell’ambito turistico territoriale omogeneo interessato;
  2.  Camere di Commercio industria artigianato e agricoltura competenti per territorio;
  3. Altri enti e soggetti pubblici rilevanti per la filiera di riferimento e operanti nell’ambito territoriale interessato;
  4.  Le imprese del settore turistico, le associazioni o i consorzi di soggetti privati, o i consorzi di soggetti pubblici e privati operanti nel settore turistico e culturale, ivi compresi i distretti turistici istituiti con decreti del Ministero dei beni culturali e del turismo ai sensi del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70.

Tale organismo si deve dotare di uno statuto e di un organismo di gestione, ma soprattutto deve occuparsi anche della definizione di tutti i dati relativi alle iniziative e agli interventi inseriti nel programma annuale dei servizi e delle attività del territorio di riferimento. Si comincia a comprendere anche l’importanza dello studio del fenomeno turistico.
Il regolamento lascia molto spazio sia al pubblico che al privato anche in termini di autonomia  e individuazione delle politiche e delle strategie per ogni singolo territorio e rappresenta sicuramente un passo avanti nella ridefinizione della struttura del sistema turistico campano che da 34 anni aspettava questa “rivoluzione”.
Ora tocca agli operatori e a tutto il sistema cogliere quest’opportunità di aggregazione e definizione del ruolo di ogni singola destinazione turistica, partendo dal basso.
Per poter avviare la costituzione di queste strutture però si attende ancora la definizione degli ambiti turistici omogenei (Gli ambiti territoriali turistici omogenei sono aree delimitate nelle quali, per storia turistica o per chiara potenzialità, sono organizzate ed ottimizzate le offerte dei servizi pubblici e privati per il turismo e dove sono integrati il patrimonio umano, ambientale, produttivo e culturale del territorio) che dovevano essere emanati con Giunta Regionale entro 90 giorni dall’approvazione della legge (8 agosto 2014) sulla cui base si potranno individuare i confini entro i quali poter costituire tali strutture.

Ma noi siamo fiduciosi.

Perché il concetto di “smart” può salvare le aree interne, e svilupparle.

In inglese il termine “smart” significa intelligente e sembra che abbia già detto tutto. Oggi lo usiamo, spesso, per indicare tutto quello che è legato alla tecnologia e alla digitalizzazione e precede tutti i settori a cui poi si riferisce.
Smartinnovation, smartcity, smartourism, smartrural e così via.

Concretamente però quali possono essere i benefici che l’applicazione del concetto di smart può portare a delle aree che non vivono a diretto contatto con i grandi centri e con i luoghi dove lo “smart” si sviluppa?
La risposta probabilmente è anche semplice: le aree interne sono il luogo dove il concetto di “smart” può trovare più ampia applicazione. Infatti sono quelle aree che hanno tanti settori che oggi non conoscono l’innovazione, la digitalizzazione e che entrerebbero in contatto con un mondo attualmente sconosciuto sia in termini di vantaggi operativi che di ritorni economici. E allora è arrivato il tempo di investire concretamente nell’attuazione del concetto a tutte le aree interne, anche all’Irpinia e l’opportunità è concreta e presente. In Europa esiste qualcosa chiamata Agenda Digitale che nella nuova programmazione 2014-2020 dovrà trovare la sua massima espressione, e soprattutto la sua massima fonte di finanziamento. Presentata dalla Commissione europea è una delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020, che fissa obiettivi per la crescita nell’Unione europea (UE) da raggiungere in differenti settori:
1. Identità digitale e servizi innovativi per i cittadini: carta di identità e tessera sanitaria elettronica; anagrafe unificata, archivio delle strade, domicilio digitale e posta elettronica certificata obbligatoria per le imprese.
2. Amministrazione digitale: dati e informazioni in formato aperto e accessibile compresi quelli della pubblica amministrazione, biglietti di viaggio elettronici, sistemi digitali per l’acquisto di beni e servizi, trasmissione obbligatoria dei documenti via Internet.
3. Servizi e innovazioni per favorire l’istruzione digitale: certificati e fascicoli elettronici nelle università, testi scolastici digitali.
4. Misure per la sanità digitale: fascicoli sanitari elettronici, prescrizioni mediche digitali.
5. Forte impulso per la banda larga e ultralarga.
6. Moneta e fatturazione elettronica: pagamenti elettronici anche per le pubbliche amministrazioni, utilizzo della moneta elettronica.
7. Giustizia digitale: notifiche e biglietti di cancelleria dei tribunali per via elettronica, modifiche alla legge fallimentare per procedere in via telematica, ricerca e incentivi per società attive nelle nuove tecnologie.
Tutti i comuni, e questo pochi lo sanno, saranno chiamati a redigere una propria agenda digitale (le agende digitali locali) che sarà, molto probabilmente, elemento di eleggibilità delle progettazioni e motivo di esclusione nel caso di assenza delle stesse nelle PA.
Inoltre, tutti i programmi comunitari, in qualsiasi settore, avranno una predilezione per le progettazioni che parleranno e si occuperanno di digitale e smart, e dunque non si potrà non programmare in tal senso.
Ed ecco dunque l’opportunità: la redazione delle Agende Digitali per i Comuni.
I Comuni dovranno necessariamente spingersi verso un mondo più digitale in tutti i campi di intervento e avranno la possibilità di programmare uno sviluppo intorno a questo concetto, dovranno farlo se vorranno accedere a maggiori fondi comunitari.
E allora cogliamo la palla al balzo e iniziamo a giocare in anticipo su questi temi?
Facciamo in modo che queste aree interne diventino smart e fucine di idee innovative in tutti i settori e sopratutto nei settori turismo e agroalimentare, che colgano le opportunità europee?
Iniziamo a parlare seriamente di smartrural contrapposto alle smartcity?
Come?
  diffondiamo la banda larga e mettiamo i giovani nelle condizioni di poter lavorare anche dalle aree interne collegati ad internet;
– creiamo spazi di co-working e co-living, dove le persone possano usufruire di spazi e attrezzature e possano sviluppare idee e progetti;
– incentiviamo gli incubatoti d’impresa, forniamo ai giovani gli strumenti per realizzare progetti;
– sfruttiamo le nuove tecnologie per fare rete, le distanze ad oggi non sono più un problema (smettiamola di dire che siamo lontani e non possiamo partecipare);
– mettiamo al centro i cittadini e le loro proposte per il territorio, mettiamoli in rete e facciamoli partecipare, basta con i piani calati dall’alto;
– opendata, facciamo si che i dati siano liberi, che tutti possano averne accesso;
– iniziamo ad applicare lo smart all’agricoltura, al turismo, soprattuto alle caratteristiche delle aree interne e convertiamo il tutto in ritorni economici.
Rendiamo il vivere nelle aree interne non più un problema, ma un’opportunità, avviciniamole ai cambiamenti che il mondo offre cogliendo tutto ciò che la nuova programmazione europea prevede in termini di digitale e smart. Chi c’è per la sfida?

(L’analisi). Nasce la nuova legge sul turismo Campana. Quali vantaggi?

Una legge in Regione Campania attesa 34 anni e finalmente ora ne abbiamo una, nuova o seminuova. E’ una legge che prova a mettere un po’ di ordine all’interno dell’ingarbugliato settore turistico campano a livello prettamente pubblico. Per il privato c’è ancora da attendere.

In estrema sintesi questa legge introduce tutta una serie di novità abolendo gli enti provinciali per il turismo e riorganizzando tutto il sistema turistico campano basandolo sui Poli Turistici Locali (PTL). Saranno organismi che potranno nascere dal basso su iniziativa di soggetti pubblici e privati, sempre però all’interno degli ambiti territoriali omogenei definiti da parte della giunta regionale. Questi poli potranno muoversi però sempre all’interno delle linee guida regionali definite all’interno di un piano triennale che sarà la regione a definire. Sopratutto trasferisce ai comuni tutta una serie di responsabilità che vanno dall’attivazione dei SIAT (servizi di informazione e accoglienza turistica) a livello locale insieme con l’organizzazione di servizi turistici di base, trasmissione di dati relativi all’offerta. Istituisce il tavolo per le politiche turistiche a cui partecipano anche i privati e rappresentanti dei PTL, l’Agenzia Regionale per la Promozione del Turismo e dei Beni Culturali della Campania, le carte dei servizi del turista e la carte dei diritti del turista, scritta almeno i quattro lingue.
Infine, finalmente, regolarizza e valorizza il ruolo delle Proloco istituendone un albo e facendole partecipare al tavolo istituzionale per la definizione dei programmi turistici regionali triennali e annuali. Questi elementi modificano profondamente il sistema turistico regionale portandolo in una direzione ben precisa,anche se alcuni di essi sono forse arrivati in ritardo e sono sicuramente migliorabili.  Soprattuto però, a mio avviso, questa legge non si fa riferimento a degli punti che andrebbero trattati. In primo luogo, non prevede nessun elemento relativo a come misurare i flussi turistici regionali, chi debba farlo e come. In questo settore misurare, analizzare e studiare i fenomeno turistico è sicuramente il primo passo da fare per poter affrontare i problemi e capire dove intervenire.  E’ una legge che non sembra avere la capacità di proiettarsi nel futuro, che non legge il passato. All’interno del testo non ritroviamo nessun accenno al digitale e all’innovazione per il settore (che nel turismo è sempre più importante) a tutto quello che è il turismo moderno e quello che sarà in futuro. E’ davvero un bene che si siano prevista la carte dei servizi e dei diritti del turista, misura molto utile hai tempi delle agenzie di viaggio, ma arriva in ritardo e ha meno peso oggi, ai tempi di Tripadvisor, Trivago e delle recensioni online.
Auspicavo che si iniziasse a definire standard di qualità dei servizi turistici e a riordinare il settore privato, che si organizzasse la formazione degli operatori e alla classificazione dei differenti tipi di“turismi”, che si lavorasse sulle professioni turistiche. In merito c’è un assoluto bisogno di un riordino che oggi in Regione Campania sono tante e mal gestite, con date di esame abilitativi che non vengono rispettare e procedure lunghissime. Tra l’altro non sembra ci sia la volontà di lavorare in questo senso per definire bene ruoli, competenze e modalità di accesso agli albi professionali che necessitano di essere semplificati e adattati alle differenti realtà e territori turistici della Campania. Purtroppo non si prevedono sistemi di incentivo alle imprese turistiche per i giovani, che potrebbero spingere giovani a investire e occuparsi del settore.
Un punto a cui tengo particolarmente e che purtroppo non è trattato è quello legato agli eventi. La legge non definisce che tipologia di attività di promozione ed eventi avranno al priorità nei finanziamenti pubblici. Penso infatti che essi si dovrebbero concentrare sugli eventi che valorizzano le specificità e i prodotti specifici legati alle particolarità territoriali, evitando finanziamenti a pioggia su eventi che con il territorio non hanno nessun legame, o eventi sporadici che poco portano al territorio in termini di ricaduta economica e di promozione. Con l’istituzione dei PTL la legge sono fatti passi avanti, ma avrei preferito che si potessero far nascere spontaneamente senza che fosse la Regione a dover definire all’interno i quali territori omogenei potersi muovere e costruire. Credo che gli operatori pubblici e privati del settore avessero le migliori competenze e conoscenze necessarie a definire un Polo Turistico Locale per omogeneità territoriale. Chi meglio di chi lavora nel turismo sa che cosa può stare insieme e cosa no?

Arrivando poi ai vantaggi per l’Irpinia: è una legge che ancora una volta non ne porta. Non ho letto in nessun comma di “turismo rurale” come invece da più parti si dice. Non vengono classificati i differenti tipi di turismo e soprattuto non vengono definite le priorità regionali in questo senso. La legge non ci dice ancora su quale turismo la nostra regione vuole puntare. In particolare per l’Irpinia invece, in merito al turismo rurale, sembra molto più adatta la legge sui distretti rurali (n°20 dell’8 agosto 2014).
Infine ritengo che sia troppo generica la copertura finanziaria. Chi aiuta i comuni a fare tutto quello che è previsto per loro nell’art. 5 (istituzione uffici di informazione turistica, armonizzazione dei servizi, promozione del PTL, ecc…)? Sembra essere una legge a costo zero per le Regione visto che non prevede nessuna copertura di tipo finanziario per nessuno degli elementi che prevede se non un troppo generico rimando alle disponibilità di fondi della comunità europea e alle disponibilità annuali in seno al governo centrale, alla regione e alla provincia, nonché alle risorse già previste per le Proloco (esigue) e per il funzionamento dell’Agenzia Regionale. Saranno i Comuni quindi a dover ricercare tutte le risorse necessarie per istituire i mantenere i SIAT? I PTL come potranno funzionare senza risorse economiche? Attendiamo ora i regolamenti attuativi e speriamo in qualche risorsa in più. Altrimenti la legge non avrà la forza necessaria a far ripartire il turismo campano.

Taurasi è wine, quinta tappa del #MyIrpiniaTour.

Sapevo che sarebbe successo, sapevo che l’avrei trovato e che me ne sarei sorpreso. Un luogo dove l’Irpinia si esprime bene per uno dei suoi migliori prodotti e per delle caratteristiche che possiamo trovare solo qui: a Taurasi ci sono molti elementi caratteristici e spero di poterlo dire ancora durante questo tour.
Taurasi è un bellissimo piccolo borgo a pochi km dalla città di Avellino, con un centro storico che il terremoto ha toccato poco, uno splendido castello che si presta in maniera ottimale a presentare quello che uno dei DOCG più apprezzati d’Irpinia: il Taurasi per l’appunto.

Parte del castello.
Un borgo che a girarlo sono necessari 5 minuti quando non ti fermi a osservare i particolari che lo caratterizzano, i vicoli, i portali e i balconi che in pochi paesi irpini riesci a trovare in queste condizioni, colori e luci. Ho visto un paese e un centro che in Alta Irpinia non c’è, colpa del terremoto purtroppo.
I km che questa volta mi separano dalla meta sono stati tanti, ben 54. Sono fatti di tantissime curve e quasi un’ora di viaggio, elementi che fin ora mi avevano fatto desistere nell’andare a vivere la fiera enologica, famosa anche oltre regione.
Il viaggio è stato piacevole e veloce in compagnia di Antonio e Gerardo attraverso Lioni, Sant’Angelo del Lombardi, Castelfranci, Paternopoli fino a Taurasi, parte dei paesi che separano Caposele da questo luogo.
La grandiosità dell’evento è visibile e immediato, la confusione anche. L’obiettivo della serata è scoprire cosa rende speciale questa fiera partendo con il bicchiere di vetro al collo.
Non passa molto e i primi acquisti agli stand non tardano ad arrivare. Taurasi 2007 DOCG, Aglianico del 2012. L’amico Antonio e l’amica Antonella hanno buon gusto, le cibarie preparate da Felicia accompagnano il tutto, la serata promette bene.
Dopo aver sorseggiato i primi bicchieri assaporo tutto il gusto di questo ottimo vino e la curiosità di entrare nei dettagli della festa cresce sempre di più, parallelamente alla salita che ci aspetta per arrivare al borgo. La taranta condisce la serata e gli stand colmi di folla colorano i due lati della piazza, avanziamo a fatica. Sono sempre più curioso di vivere il centro storico. 
La folla.
Passati sotto il porticato che inaugura il nostro ingresso, sulla destra ci aspetta la fiera enologica nel cortile del castello, ai lati la descrizione di tutti i comuni che rientrano nella produzione del Taurasi con una dettagliata descrizione dei vini e delle zone produttrici, sono più di dieci e questa cosa mi sorprende un bel po’.
Un’occhiata in giro, qualche domanda di curiosità agli esperti, incontri casuali di persone che non vedevo da tempo, piacere immenso nel reincontrarli e sorrisi  sfacciati sempre muniti di buon vino.
Decido che è l’ora di addentrarmi nei vicoli da cui provengono odori, suoni e colori che affascinano, alzo gli occhi e vedo una vecchietta affacciata al balcone che osserva felice. Un cartello “angolo del paradiso” attira la mia attenzione in un vicolo, sempre sulla destra. Decido di seguirlo e mi ritrovo davanti a numerosi prodotti tipici, ancora vino, una vecchietta seduta con cui facciamo una foto. Sono divertito, curioso, felice delle scoperta di questo piccolo borgo. 
Il borgo.
Giriamo velocemente intorno, tra gruppi musicali che suonano, ragazzi che ballano, bottiglie che volano, panorami che ci seguono. Il borgo è aperto a tutti, cantine che si concedono ai visitatori, prodotti tipici che vengono serviti ad ogni angolo, vicoli che ti guidano senza difficoltà, è un bel mix di vivacità e tradizione.
La serata scorre velocemente, vuoi per la compagnia, vuoi per tutto ciò che osservo in pochi secondi, vuoi perché alla fine il Taurasi si lascia bere facilmente.
Finiamo per arrivare sotto al palco a ballare pizzica tra troppe persone che non riescono a divertirsi nella maniera giusta, mezze risse e troppi spintoni, note stonate di una serata che comunque è stata interessante.
Sinceramente mi aspettavo però più ordine, più percorsi degustativi, più sommelier, attenzione alle specificità territoriali e meno provoloni impiccati che sono tipici dell’Alta Irpinia. Non sono riuscito a cogliere cosa qui viene veramente prodotto di tipico oltre al vino, probabilmente non c’è.
Tutto sommato però, Taurasi è stata una bella scoperta. 
#Followme. 

A Caposele per la “matassa” e la quarta tappa del #MyIrpiniaTour

Questa tappa del #MyIrpiniaTour è stata qualcosa di diverso perché era da tempo che mancavo a questo evento pur essendo sotto casa mia. E’ stato diverso perché è stato bello accogliere e mostrare a persone che non conoscevano le qualità e le caratteristiche di Caposele. Allo stesso tempo, mentre scrivo, mi rendo conto che è difficile descrivere con occhi diversi quello che vedi tutti i giorni.
La serata della Sagra delle Matasse era però la serata giusta per farlo: calda, limpida e profumata di matasse che solo qui a Caposele è possibile provare.
Questo piatto, inserito nel prodotti agrolimentari tradizionali (PAT) dalla Regione Campania è qualcosa che solo le sapienti mani delle caposelesi sanno preparare. Il nome deriva proprio dal modo in cui questa pasta viene lavorata, ovvero come una matassa di lana, è una “via di mezzo” tra lo scialatiello e la tagliatella, ma non è nessuno dei due. E’ unica nel suo genere, e sembra proprio che nessun paese limitrofo riesca a riprodurla.

Fase della preparazione della Matassa
Gli amici arrivano alla spicciolata e io ne approfitto per capire bene come quest’anno la Proloco Caposele ha deciso di impostare la serata. Noto immediatamente il cambio di location spostata al centro del paese in Piazza XXIII Novembre rispetto al tradizionale percorso lungo via Roma.
Più spazio e migliore logistica sicuramente, colpo d’occhio meno ad affetto rispetto al passato senza l’orologio del Comune e la Chiesa di San Lorenzo che spicca con il suo azzurro.
Caposele è il paese dell’acqua e del Santuario di San Gerardo, sede dell’Acquedotto Pugliese e la località dove nasce il fiume Sele.
Proprio la presenza di quest’ultimi ne ha caratterizzato la storia e modificato la morfologia nel tempo, rendendolo anche uno dei pochissimi paesi dove il campanile e la Chiesa sono distanti più di 300 metri tra di loro, caratteristica che troviamo nella appena rifatta Piazza Sanità, cartolina irpina di lusso.

Il campanile di Caposele

Attendo l’ormai collaudata compagnia paternese di Antonia e Felicia con le curiose Antonella e Monica da Frigento che non vedono l’ora di assaggiare questo piatto. 

Al loro arrivo, spiego il perché della conformazione della nuova piazza Sanità, la storia dell’acquedotto e mi diverto nel farlo. Apprezzano la nuova fontana mentre ci avviamo verso la piazza dove la Proloco ha preparato la serata.
Nel frattempo mostro corso Europa e parlo di come la matassa viene preparata, anticipo che ci sarà chi potrà farlo meglio di me. 
Matasse e ceci
La piazza brulica di gente e ci avviciniamo subito al tavolo dove una simpaticissima caposelese ci mostra e spiega tutti i segreti della “costruzione” di questa pasta, ci dice che alla fine non è poi tanto difficile; io le rispondo che mia madre, lionese, ci ha messo 30 anni per imparare, lei sorride e continua il suo lavoro. Noi rimaniamo affascinati da tanta maestria.
Vivere questi attimi mi fa sentire bene, sono a mio agio e il mio paese risponde egregiamente. Ordino due piatti di matasse, uno al sugo a l’altro bianco ai ceci, per assaggiare entrambe le ricette. 
A porgermeli è Concetta Mattia presidente della Proloco di Caposele che saluta Antonella sua “collega”, scambiano due rapide battute e via al tavolo, con vino al seguito ovviamente. Non siamo a Castelfranci o Taurasi ma anche il vino se la cava. 
Antonia fotografa curiosa i piatti, tutti gli altri mangiano di gusto: sembrano apprezzare. Io gli spiego che secondo me la migliore ricetta è quella bianca con i ceci, che io amo di più perché esalta maggiormente le qualità della pasta. 
Io e Monica
Scattano selfie a volontà in piazza, foto ricordo fatte da compaesani, domande sul Santuario e sulle caratteristiche di questo piatto. Un tappa tranquilla e conosciuta che ho inserito per permettermi di osservare la mia comunità da una prospettiva differente, che alla fine mi ha reso consapevole che possiamo lavorare su molti elementi che gli occhi di altri ragazzi mi hanno fatto notare.
Alla prossima tappa, probabilmente Taurasi. 
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Frigento, terza tappa al “pizzillo” del #MyIrpiniaTour

E’ arrivata velocemente la terza tappa di questo tour irpino estivo che pian piano mi sta portando a riscoprire piccoli particolari di questa terra piena di sorprese.
Dopo Gesualdo, Castelfranci e Morra De Sanctis è toccato a Frigento.
Pizzille e Tammorre
Uno dei paesi più alti della provincia, caratterizzato dalla presenza di tantissimi porticati e vicoli; si dice anche dalla possibilità di poter vedere oltre cento comuni girando intorno al centro e attraverso la famosa veduta dei “Limiti” (che consiglio sia di giorno che di notte).
Questa volta compagno di viaggio è stato Donato Gervasio, con cui alla fine abbiamo anche scoperto termini nuovi e bontà inaspettate. Ad attenderci c’erano la buona Antonella insieme agli amici Monica, Luca e Giuseppe, con maglie arancioni e la improbabile scritta “viri Friciento e rimani scristianuto”  – trad. vedi Frigento e rimani sconcertato – (sarà presto una nuova linea?).
La maglietta che ci ha accolto
Ciò che mi ha spinto a fare tutti e 35 i km di curve che separano Caposele da Frigento è stata l’acquolina che il presidente della Proloco mi ha suscitato nel descrivermi questo pizzillo che sembra avere caratteristiche uniche solo qui; come d’altronde tutto quello che lei descrive di questo paese che si vede ama tantissimo, lo capisci quando ne parla.
Tra una chiacchiera e l’altra con Donato le curve volano, arrivati nel piccolo centro altoirpino ci troviamo anche le paternesi Felicia e Antonia. Ben preso la musica della tammorra ci avvolge, anche se la salita per arrivare in piazza si fa sentire dalla villa comunale alla piazza sede della festa.
Il profumo è forte e anche la fame (come al solito) e neanche il tempo di salutare che ci troviamo carichi di pizzilli ripieni di ogni cosa: formaggio, prosciutto, nutella e tanto altro. La ricetta è semplice, fatta di pasta di pizza fritta imbottita come un salsicciotto di varie cibarie, di ottima fattura e gustoso come pochi.
Il “pizzillo”
La cornice è quella che ti aspetti, una piazza stracolma di gente che balla, scale, amici e chiacchiere di ogni tipo. Chiedo della preparazione del pizzillo ad Antonella che mi spiega che il miglior modo per capirla é vederla. Non esita dunque a portarci dietro le quinte della sagra. Ci addentriamo nelle cucine sul retro dove la cosa che mi sorprende subito è il gran numero di ragazzi coinvolti nella preparazione che si divertono nel farlo, mixati con i più esperti che friggono in grandi contenitori strapieni di olio. Il segreto della bontà di questo prodotto sta tutto in quella stanza che profuma di buono.
Osserviamo, chiediamo, apprezziamo e infine salutiamo augurando buon lavoro a tutti, tra sorrisi vari e pacche sulle spalle del presidente che sembra avere in pugno tutta la situazione.
Il pizzillo è davvero ottimo ma non consiglio di mangiarne più di due se non si vuole scoppiare, anche se è dura resistere visto che anche qui non si smette mai di usufruire di un’ospitalità e bontà unica, come l’ha definita Donato.
La preparazione
Dopo l’abbuffata era dunque d’obbligo una passeggiata notturna sul “lungomare di Frigento” su via Limiti dove è possibile godere di una vista stupenda di tutta la valle dell’Ufita e anche oltre.
Attraversiamo tutto il centro districandoci tra migliaia di porticati e vicoli come pochi in Irpinia, colori di un posto che però di inverno, e anche in questa serata, davvero raggela anche l’anima. C’è bisogno di un buon vino quasi sempre a scaldare.
Antonella ovviamente in questa situazione si esalta e inizia a descriverci ogni piccolo dettaglio della veduta, di quanto il tramonto qui sia unico e di quanto anche di notte la cosa non sia da meno. Il suo punto di vista è effettivamente condivisibile e poco discutibile, la passeggiata è veramente piacevole per compagnia, parole, luci e colori.
Il tour dura un po’ e ne siamo felici, chiediamo e ridiamo della parola “scristianuto”, disquisiamo di vari detti dei paesi limitrofi, arriviamo a concludere che il termine curioso si può tradurre con “sconcertato”.
Arriviamo così facilmente alle auto, ci salutiamo e diamo appuntamento alla prossima tappa del #MyIrpiniaTour che sarà a Caposele. La mia Caposele.


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#MyIrpiniaTour a Morra De Sanctis, patria del baccalà.

La seconda tappa del #MyIrpiniaTour è stata molto semplice. Morra De Sanctis è un paese vicino ed amico e da tanto avevo intenzione di provare il suo piatto principe: il baccalà durante la Sagra. Sembra strano ma è così, in piena Alta Irpinia abbiamo un’eccellenza legata al mare: questo piccolo centro è rinomato perché preparano bene questo piatto, e durante il mio tour ne ho avuto la conferma.
Questa volta, dopo vari inviti, mi sono addentrato alla scoperta della tradizione solo e scortato dai Morresi. Qui non devi mai chiedere perché ti arriva tutto e subito, sopratutto durante questi periodi. 
E allora ad accogliermi trovo l’amico Gerardo Di Pietro che mi invita a prendere parte alla festa, a provare il famoso baccalà alla “ualanegna” condita da ottimo vino. Insieme a lui ci ritrovo anche Donato Caputo e il grande Rocco Di Paola alla cassa.
L’atmosfera è familiare ai piedi del Castello Biondi che sovrasta il centro e sotto gli occhi vigili del buon Francesco De Sanctis. Morra infatti è il paese che ha dato i natali al famoso letterato, ci possiamo trovare la casa della famiglia insieme a tanti reperti e documenti che ne hanno segnato la sua storia. Ben tenuto e dalle grandi potenzialità questo Castello, dove abbiamo anche la sede dell’Università telematica Guglielmo Marconi. Di giorno lo spettacolo dall’alto è assicurato ma io decido di concentrarmi sulla sagra, questo è l’obiettivo della serata.
Baccalà alla “ualanegna”
Mi arriva il piatto fatto di verde, rosso e bianco (forse è patriottismo o forse solo peperoni verdi, rossi e baccalà bianco) e mi ci fiondo dentro, anche perché sono già le 23.00, e sono senza cena.
Gerardo e Donato mi riempiono di domande sul cosa ne pensi mentre mi versano vino, che qui in Irpinia è un must. Gli rispondo che non c’è nulla da dire, tutto ciò che viene detto su questa pietanza è confermata, un sapore semplice di prodotti irpini mixati con baccalà ed esperienza pluriennale presente nella preparazione.
Il vino scorre, il baccalà finisce, il sindaco ringrazia i presenti e il presidente della Proloco si scusa per la pioggia che prima ha messo a rischio la serata. Io mi godo il tutto pensando a quanto questo piccolo centro sia più popolato d’estate quando tornano i suoi numerosi emigranti che in inverno, quando purtroppo il freddo punge e la gente sta a casa.
Donato intanto si alza, ha in serbo sorprese e io lo sò. Gerardo invece, seduto di fronte a me, parla e parla di argomenti che spesso affrontiamo, di politica, giovani, opportunità. Lui con i problemi della gente e di questa Alta Irpinia ci macina chilometri tutti i giorni essendo amministratore.
Quando ritorna Donato ci interrompe con cavatielli bianchi ai fagioli e pancetta, con un’altra bottiglia di vino. Lo guardiamo, facciamo un sospiro di sollievo e l’argomento torna ad essere la sagra (per fortuna), i prodotti tipici, chi e come ha preparato il piatto. Ne conosco i particolari, ne apprezzo i sapori e gli odori, sono felice della serata e di queste cose così vicine che non conoscevo.

Cavatielli Bianchi
Tutto è tranquillo, anche la tarantella in sottofondo suonata dei miei amici compaesani, il vino scorre e i piatti anche. Decidiamo che è giusto fare un giro e salutare altri amici. 
Vedo indaffaratissimo Francesco Pennella, Presidente della Proloco, lo saluto e lo lascio lavorare, la gente da sfamare è tanta. Mi ritrovo al bar e ne saluto altri, chiacchiero e non pago nulla: a Morra è così, l’ospite è ospite! Come in tutta l’Irpinia.
La serata passa velocemente tra chiacchiere, saluti e sguardi verso particolari di un paese che conoscevo di giorno e che mi ha sorpreso in festa, con colori, luci e sapori che sono tutti da scoprire. 
Il #MyIrpiniaTour prosegue bene anche se dopo tutto quel cibo ho avuto difficoltà a dormire e digerire, ma questo lo avevo messo in conto.
Stasera tocca a Frigento come da Calendario aggiornato su Facebook. Sono proprio curioso di vedere cosa la nostra Antonellina ci proporrà, di provare questi pizzilli di cui mi ha raccontato per un mese intero.
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E’ partito il #MyIrpiniaTour. Copiando e non programmando da Gesualdo a Castelfranci.

L’idea del #MyIrpiniaTour è abbastanza semplice e nasce veramente per caso. 
Dopo essermi reso conto che conosco troppo poco questa terra (se non l’Alta Irpinia e la Valle del Sele) ho deciso che è venuta l’ora di riuscire a vivere molto di più la mia Irpinia in maniera viva e intensa e di raccontare l’esperienza vissuta nel miglior modo possibile, di parlare delle persone, dei luoghi, delle tradizioni e soprattutto dei vini e dei prodotti tipici. 
Tutto in questa estate 2014.
E’ chiaro che tutto nasce sulla falsa riga della delusione personale per la mancata partecipazione al #mypugliaexperience ed un po’ ne è una “copia”. Ma mi sembra così interessante l’idea di passare questa estate in giro per l’Irpinia che non posso non andare avanti, ma sopratutto non è assolutamente concepibile che non conosca molte cose della mia terra, anche quelle negative.
Dunque si parte, anzi si è già partiti, ieri sera.
Il calendario per ora è questo ed è definito sulla base dei primi suggerimenti giunti dalla rete e non, dalle curiosità personali e dalle curiosità che molti di voi mi hanno stimolato. Integrabile da tutti e sicuramente modificabile:
– Parto da Gesualdo, “Terrazze Mattioli e Giardino Pisapia”;
– 5 Agosto Morra De Sanctis, “Sagra del Baccalà”;
– 6 Agosto Frigento, I “Panorami” – Pizzilli e Tammorre; 
– 16/17 Agosto Taurasi, “Fiera Enologica di Taurasi”;
– 18 Agosto Montemarano, “XXXII Festa del Bosco e dell’Emigrante”;
– 19 Agosto Quaglietta, “Sagra dello Zenzifero”.

Quello che so è che riserverà sorprese, come ha subito fatto. 

Saperi e Sapori

Ieri sera è partita un po’ così con l’idea di arrivare a Gesualdo e godersi la terrazza del bel Castello per l’anteprima di Saperi e Sapori, in compagnia dell’ottima Antonella Abbondandolo, presidente della Proloco Frigentina, conoscitrice approfondita del territorio e sempre “armata” di ottimi prodotti tipici on the road, nel cofano della sua Fiat Bravo. 

Gesualdo infatti è un borgo irpino famoso perché è stata la residenza di Carlo Gesualdo, madrigalista. L’anteprima è interessante ma troppo lenta per i nostri gusti, all’interno di una cornice di terrazze molto suggestiva, con il castello che protegge alle spalle. Si gusta ottimo vino a prezzi abbordabili con buona musica, ma decidiamo di cambiare. Arrivano segnali da Castelfranci, sembra esserci un po’ di Rock on The River. 
Scorci del Calore

Antonella però mi propone, prima di andare, un rapido tour intorno al castello, ancora non completamente ristrutturato ma davvero imponente, da visitare di giorno. Mi racconta che qui è un pienone di gente tra i 19 e il 22 agosto, quando si svolge il Saperi e Sapori vero, ormai quasi alla decima edizione. E penso in quel momento che il #myirpiniatour debba essere integrato con questo evento. 

Il paese si presenta veramente bene, curato anche nei dettagli tranquillo e raccolto intorno al centro storico. Discutiamo di come questa terra abbia tante potenzialità non espresse, ma che sopratutto ci sono troppe feste della birra e che ci vorrebbe una legge provinciale che le proibisca a favore delle feste del vino. Tutto mentre sorseggiamo un Beck’s ai piedi delle scale dell’ingresso del castello (un po’ in contraddizione). 
A quel punto i segnali da Castelfranci si fanno più forti, uniscono al rock lo splendido vino castellese che farebbe coppia con la soppressata frigetina nel cofano della già citata “Bravo” di Antonella. Decidiamo allora di andare, scendendo la lunga scalinata che caratterizza Gesualdo.
Tra le curve fino a Castelfranci, discutiamo del più e del meno, di progetti e idee (come mio solito), della necessità di ritornare alla terra. Dibattiamo sul come questi paesi torneranno indietro e sulla necessità di più internet e digitale. Velocemente arriviamo al fresco del Calore (il fiume) di Castelfranci. Nemmeno il tempo di capire dove siamo, chi si esibisce sul palco che Luisa, in compagnia di Marica arriva dicendoci che non bisogna perdere tempo, ci carica di vino e ci indica i tavoli. La serata si prospetta buona. 
La location è di tutto rispetto, il rock in sottofondo anche, notiamo subito che in basso c’è un gran bel posto dove arrampicarsi e sbirciare angoli nascosti di questa località Castellese.  
Dopo qualche bicchiere del sempre ottimo vino di “Castiello” e della buonissima soppressata mangiata in compagnia di chiunque, tra Felicia, Lucrezia, Luca, Francesco e tanti altri decidiamo che è possibile fare il salto nel fiume. 
Colori del Calore

Ci arrampichiamo e le foto sono delle più assurde, ma anche lo spettacolo non è male. Salti d’acqua misti a luci ci fanno scoprire un luogo che non pensavamo potesse avere queste caratteristiche. Eppure penso che di giorno sia ancora meglio, sicuramente potremo pensare di ritornarci in un pomeriggio di questa estate, anche se non si sta presentando caldissima. Metto l’appuntamento nella check list delle cose da fare. 

Risate e sorrisi, pensieri e curiosità sul posto chiudono una serata che, oltre alla musica in sottofondo, mi ha portato a trovare un angolo irpino di tutto rispetto, oltre a prodotti di questa zona che ho già citato troppe volte: è evidente che mi sono piaciuti? 
Le premesse per il #MyIrpiniaTour sono più che ottime, e a quanto pare, non so come continuerà e dove arriverà, né per dove passerà. 
#Followme. 

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