Massimo Bray. Ministro del turismo, dei beni e delle attività culturali |
“Invitalia” chiude, il Paese può attendere (e morir di fame)
E’ notizia di qualche giorno fa che “Invitalia”, l’organismo ministeriale che elargisce contributi per la creazione di nuove imprese e favorisce l’autoimpiego, ha finito i soldi. Niente più contributi a chi vuole fare impresa. Almeno per ora. «Qualora si rendessero disponibili nuove risorse finanziarie – si legge in un breve comunicato dell’organismo statale -, la data dalla quale sarà possibile presentare nuovamente le domande sarà resa nota mediante un nuovo avviso, che sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale almeno sessanta giorni prima del nuovo termine iniziale».
Niente più soldi, insomma. Almeno per i prossimi mesi. Niente più imprese, niente più autoimprenditorialità.
La prima reazione che si ha di fronte a queste notizie è sicuramente di sconforto, sopratutto in chi ha idee e magari voglia di costruire dal nulla qualcosa. La seconda sensazione, invece, è quella che ti fa pensare di scappare il più lontano possibile dove magari una società accolga maggiormente chi ha idee e voglia di fare, chi vuole mettersi in gioco anche se la propria famiglia non ne ha la possibilità. La terza, ed ultima, fa pensare a cosa voglia davvero un paese che fa questa tipologia di scelte in questo momento così difficile.
Sembra chiaro immediatamente che si voglia una sola cosa: uccidere il futuro e puntare sulla crescita del divario tra chi ha di più e chi non ha nulla.
Puntare a distruggere le idee e la voglia di crescere di chi vuole fare qualcosa creandosi un lavoro, cosa che questa società non ti propone e non ti dà.
Si vuole, insomma, distruggere i sogni e creare una società di soldati che abbassino il capo e, nella difficoltà, cancellino le proprie idee e lavorino per il boss politico o non di turno. Insomma uno stato che vuole più soldatini ignoranti che persone pensanti, portando il paese al crollo definitivo.
Sembrano questi, forti segnali di resa, che l’Italia non può permettersi.
L’Irpinia, la Costiera e il matrimonio turistico (che non s’ha da fare)
La Regione Campania genera circa 12 milioni di arrivi di turisti annui, di questi solo l’1,5 percento arrivano nella provincia di Avellino. Strutture ricettive poche e di basso livello, assenza di servizi di accoglienza di base e grandi distanze tra località, unite alla scarsa qualità dei trasporti pubblici fatiscenti, di certo non contribuiscono alla crescita dei numeri nel settore.
Gli investimenti fatti, soprattutto nei grandi eventi, non sono stati sufficienti in questi anni. Tanti e mal coordinati, privi di un obiettivo di fondo e senza logica programmatica.
La provincia di Avellino ha da sempre rappresentato una realtà diversa da Napoli e dalla costa: senza mare, pochi attrattori di grande rilievo, clima diverso e sopratutto origini storiche e quindi storia diversa. E’ chiara anche la necessità di interventi diversi. Tutto ciò che un turista vede a Napoli, Salerno, Pompei, in Costiera Amalfitana è unico al mondo e non replicabile: storico, culturale o naturalistico che sia.
Avellino e provincia invece sono altra cosa, sono aree dove non è presente nulla di storico in particolare, con caratteristiche e peculiarità che muovono turisti di altro genere, con altre motivazioni.
Ciò che è nell’immaginario del turista costiero campano è legato all’immagine del sole, del mare, alla grande storia millenaria di Napoli. Elementi che creano, alla base, delle motivazioni al viaggio completamente differenti dalle motivazioni di un potenziale turista della provincia di Avellino.
Avellino non è tutto ciò, e tentare di “trascinare” i turisti costieri nelle aree interne è esperimento arduo, ma soprattutto negli anni si è rivelato fallimentare. Alla base degli scarsi risultati c’è stata certamente un’errata valutazione non solo dell’assenza di un rapporto turistico tra province, per cui è molto difficile spostare flussi dalla costa all’interno, ma anche dei bisogni dei turisti delle aree costiere, che nella maggioranza dei casi non trovano soddisfazione nel visitare le aree interne.
Dunque il problema è diverso. Spostare masse di turisti demotivati rispetto alla visita di una località è sbagliato. È sbagliato spingere turisti verso luoghi che non sono nell’immaginario del loro viaggio e che non sono nelle motivazioni del viaggio stesso.
Dunque è chiaro che Avellino e la sua provincia non possono prescindere dal Napoletano e dalle zone costiere se vogliono vedere crescere i propri arrivi. È l’Irpinia che deve costruire il proprio turismo sulle proprie caratteristiche, promuovendosi per quello che è e generando motivazioni di viaggio nei potenziali turisti.
Ma quali sono le caratteristiche dell’Irpinia e quali turisti può intercettare?
L’Irpinia oggi ha una grande opportunità: la crisi. In genere le crisi generano nuovi modelli di comportamento e consumo, e generalemente lo fanno anche nel turismo e nei turisti. Il turista, infatti, investe due elementi importantissimi in una vacanza: tempo libero e denaro. Elementi che in situazioni di crisi diventano ancora più importanti. Allora è necessario restituire valore alla vacanza e alla genuinità della stessa.
In questa situazione se la provincia di Avellino vuole creare turismo deve trovare in sè stessa le risorse e le capacità, non sperare in altri e in flussi turistici di altra natura. La nuova domanda si muove verso la ricerca della gastronomia genuina, verso la qualità dell’accoglienza, l’unicità e la semplicità. Tutte caratteristiche insite nell’Irpinia.
A ciò vanno aggiunti elementi quali la sicurezza, la qualità dell’ambiente naturale e la componente della scoperta.
L’Irpinia, sul panorama turistico nazionale e internazionale, dal punto di vista del turismo, è semisconosciuta, quindi lavorare sul viaggio della riscoperta è un ulteriore tassello da riempire, insieme con gli elementi individuati in precedenza.
Le nuove motivazioni si basano sulla ricerca del vero con una grande componente umana, in cui sono assenti standardizzazioni e presenti sempre più personalizzazione e specificità dell’offerta. E’ chiaro quindi che c’è bisogno di un ambiente naturale dove poter svolgere tutte queste attività, con un necessario coinvilgimento della comunità in questo processo dove il coordinamento del territorio è l’elemento fondamentale che spetta alle istituzioni.
L’Irpinia non ha bisogno di azioni complicate, di grandi eventi e infiniti investimenti, ma semplicemente di convincere le popolazioni a fare azioni, mettendosi in gioco, sulle proprie caratteristiche e non sperando in altri. E’ necessario accompagnare un territorio che è fatto di migliaia di comuni e comunità, educandolo al turismo e i cui risultati non si vedranno immediatamente, ma nel tempo.
La cultura turistica viene dal lavoro costante in questo senso, e solo lavorando la si potrà creare. Questo è ciò di cui l’Irpinia ha bisogno, anche dimenticandosi della costa e di Napoli.
Un viaggio tra i sapori della sagra di Bagnoli Irpino
Il progetto turistico di Caposele e la spesa pubblica
Madonnina”, oggi purtroppo abbandonato e non inserito tra le risorse da visitare, e nemmeno sembra vi sia un progetto in futuro per questo. Poi gli investimenti per l’allestimento del Museo di Leonardo che è costato alla Comunità circa 15mila euro, scelta ineccepibile.
Turismo e sviluppo. «L’albergo diffuso», Quaglietta per incominciare.
Sabato a Calabritto si è iniziato a parlare di un termine molto utilizzato nel Nord e Centro Italia, in un convegno dal titolo “L’Albergo diffuso” a cui erano presenti notevoli relatori ed esperti in materia turistica. Tutto perchè il Borgo di Quaglietta, che sta per essere completamente ristrutturato, sotto differenti punti di vista presenta le caratteristiche per diventare un albergo diffuso importante per tutte le aree interne dell’Irpinia, con una capacità ricettiva di circa 100 posti letto e degli elementi strutturali che ben si prestano a questa tipologia di attività.
La piazza di Quaglietta |
Ed è proprio questa la difficoltà: il territorio va coinvolto attraverso una serie di azioni che lo rendano consapevole di questo. Va creata una cultura dell’accoglienza che non faccia vedere il turista come un turista, ma come un residente appunto.
L’appoggio delle istituzioni dovrà necessariamente esserci a prescindere dal colore politico. Questo perchè la manutenzione per i primi anni non potrà essere a carico completo del gestore e tutti i servizi pubblici di decoro e pulizia dell’urbano dovranno essere curati al meglio. Per garantire programmazione l’affidamento non dovrebbe essere inferiore ad un periodo di almeno 10 anni e non dovrà prevedere canoni di affitto, anzi agevolazioni per chi volesse insieme al gestore, entrare nel Borgo per inserire un’attività tipiche del luogo (es. locali gratuiti). In seguito alla fase di avviamento, un diritto di prelazione sulla gestione dovrà necessariamente essere previsto al vecchio gestore in fase di scadenza. Nessun privato altrimenti farebbe offerte per gestire un qualcosa su cui non poter programmare. Il concetto di programmazione infatti è centrale. Chi vorrà aspirare a gestire un progetto di questo tipo dovrà avere ben chiaro in mente cosa vuole fare e dove vuole arrivare.